Oggi pubblico qualcosa fuori dagli schemi.
Cerco di mantenere una certa costanza nella pubblicazione degli articoli, e oggi non è proprio il giorno.
Cerco di far conoscere la Comunicazione Aumentativa Alternativa, e oggi non è proprio il giorno.
Oggi è un giorno, per me, importante.
Oggi è (più o meno) il mio giro di boa.
Oggi compio 35 anni.
Questa è l’età — e chi ci è passato lo sa — in cui “vent’anni fa” ero già un’adolescente.
È l’età in cui guardo apprendisti e stagiaire e mi chiedo: “ma io, alla loro età, cosa mi aspettavo dagli adulti?”.
È l’età in cui io sono l’adulta, e in cui amici e conoscenti costruiscono casa, mettono su famiglia.
Ma non io… o meglio, io lo sto facendo a modo mio.
Sto costruendo.
Sto cercando di dare forma e luce al progetto SONOVOCE.
Sono ormai quasi 9 mesi che pubblico articoli sulla Comunicazione Aumentativa Alternativa. La stessa durata di una gravidanza. Ma, a essere onesta, a volte mi sento più su una montagna russa che in una sala parto.
Ogni giorno è una sorpresa: a volte arrivano notizie improvvise, sensazionali, che mi fanno sperare in una svolta significativa per il futuro del progetto. Altre volte, la novità si dissolve in fumo.
Ma l’interesse c’è, e anche i complimenti non sono mancati.
Ciò che mi spinge più di tutto a portare avanti SONOVOCE è la consapevolezza del suo valore, e soprattutto il riscontro positivo di chi ha potuto trarne beneficio.
E se tu, che stai leggendo, sei una di quelle persone che mi hanno sostenuta — o che mi sostengono tutt’ora — ti ringrazio di cuore.
Il tuo sostegno, il tuo incoraggiamento o anche solo la tua pacca sulla spalla (anche metaforica) sono la mia fonte di energia. Sono ciò che mi smuove a continuare.
Perché a 35 anni faccio i conti con ciò che ho fatto e con ciò che sono diventata.
Nei miei alti e bassi, nei fallimenti e nei successi, posso dire che sono soddisfatta del mio giro di boa.
Eppure, ci sono mattine in cui mi sveglio con un nodo allo stomaco e mi chiedo se riuscirò ancora a portare avanti il mio lavoro da educatrice.
Non perché “ci vuole coraggio per fare questo mestiere” — come spesso mi sento dire.
Non è la fatica fisica, né la capacità di prendermi cura a 360 gradi di qualcuno.
Non è l’incontro con le persone con disabilità — anzi, quella è la parte che più amo, perché mi ha permesso di conoscere persone straordinarie.
La difficoltà più grande è un’altra:
è che il lavoro educativo non produce, non si misura in numeri e non si celebra con applausi.
È un lavoro che semina nel silenzio, dove spesso non si vedono nemmeno i germogli – figurarsi i frutti.
È un mestiere che richiede una profonda fede.
Fede nel fatto che, anche se non vedrò mai il frutto del mio impegno, quel gesto, quella parola, quella presenza avranno lasciato qualcosa.
È un lavoro fatto di attesa e di speranza.
Così, una cicatrice che mi è stata lasciata, una collana di vetro verde a forma di stella appesa al mio armadio, e tanti disegni che riempiono i miei classeur diventano il mio monito a proseguire.
Diventano il simbolo della mia speranza: che come educatrice sto seminando amore, consapevolezza e crescita interiore.
A 35 anni, mi fermo a riflettere. E no, non cambierei nulla.
A 35 anni, so che ognuno ha il proprio sole dentro di sé.
Io mi impegnerò a non smarrire più la sua luce e a lasciarla splendere, giorno dopo giorno.
E auguro a te, che stai leggendo, di custodire la tua luce e di lasciarla brillare, nel tempo e nel modo che è tuo.


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